Ci sono coloro che credono che l’universo non abbia regole predefinite, che il codice non sia scritto e che ogni molecola non si leghi con un’altra alla perfezione.
Un giorno tra quelli in cui estate ed autunno si salutano con malinconia, un ramarro, che viveva solo all’interno del tronco di un vecchio albero, decise di intraprendere un nuovo viaggio. Era verde, di quel colore acceso che fa pensare che l’antica foresta abbia commesso un errore, regalando a qualcuno una tonalità del genere. Quando un raggio di sole si posava su di lui, illuminava ogni cosa con un meraviglioso riflesso acceso. Creatura rara, veloce, intuitiva, fiera ed impaurita allo stesso tempo: correva rapido tra le foglie che stavano iniziando a cadere ed evitava luoghi troppo esposti agli occhi delle aquile.
Aveva paura, sì, ma davanti al pericolo cambiava, completamente. Quando sentiva una minaccia incombere, la sua energia si trasformava in forza, le sua velocità in audacia ed il suo colore in coraggio. Esattamente: quel suo colore acceso così abbagliante, così insolitamente intenso, così difficile da far passare inosservato, diventava il suo scudo più efficace e la sua arma più potente.
Si racconta che proprio quel giorno, inseguendo un moscerino sul ramo di una betulla, non si accorse di aver oltrepassato il confine dove il bosco lascia spazio alla radura e si trovò presto faccia a faccia con un enorme spazio aperto. Che meraviglia… fili d’erba a perdita d’occhio, cielo azzurro non interrotto dall’ombra dei rami, tiepido sole che scaldava la pelle, aria fresca e ancora profumo di estate, che egli credeva essere già fuggita.
Esitó troppo a lungo prima di intraprendere il cammino inverso e, come era prevedibile, un’aquila di passaggio vide un colore meraviglioso in mezzo al resto del solito, omogeneo e conosciuto verde. Come avrebbe potuto non notarlo. Immediatamente si lanciò in picchiata, spaventata che qualcuno potesse arrivare prima di lei a raggiungere quella splendida luce: in pochi secondi, il ramarro vide la terra allontanarsi ed il cielo circondare tutto il suo corpo.
Inspiegabilmente, la calma lo raggiunse. Respiró l’aria fredda, osservò il grande bosco da dove mai avrebbe potuto vederlo ed attese.
Il grande rapace atterró finalmente vicino alla grande montagna e depose il rettile su un tappeto di foglie e rami secchi. Non appena toccó il suolo, il ramarro si alzò sulle zampe posteriori e fissó l’aquila negli occhi. Non aveva paura di lei e decise di avvicinarsi, per osservarla meglio. Il becco enorme, gli occhi scuri e vivaci, il respiro affannoso e gli artigli possenti. Erano nemici, ma in qualche modo, simili. Egli si avvicinò e la ringrazió. Per aver fatto in modo che potesse volare, per avergli mostrato il tetto del mondo e per avergli dato la possibilità di sentire il profumo dell’aria in quei luoghi, che a lui sarebbero rimasti per sempre sconosciuti, non fosse stato per il loro incontro.
Era pronto e fissando la sua nemica negli occhi, attese.
L’aquila non credeva a ciò che le stava capitando: nessuno dei suoi antenati le aveva mai raccontato nulla del genere, non ne aveva memoria. Decise così di essere la prima.
Il ramarro divenne il custode della montagna; suo prigioniero ma mai in catene; quando lei usciva a caccia, lui restava ad esplorare le terre intorno, poteva osservare e conoscere e vedere tutto ciò che desiderava. In cambio, si assicurava che lei trovasse sempre la via di casa, attraverso i raggi del sole ed il suo meraviglioso, stravagante, insolito ed abbagliante colore verde.
Bellissimo! Oggi ho incontrato la maestra Villa. Sarebbe molto contenta di leggerlo…Ciao
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Grazie!
🙂 Credo che lei avrebbe qualcosa da ridire sulle ripetizioni, ma la storia credo le piacerebbe! baci baci
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