Antichi Racconti diventa un libro

Ci avete seguito in tanti, avete passeggiato tra i mondi insieme a noi. Oggi, grazie all’impegno e alla grande voglia di scoprire nuove vie della casa editrice genovese Erga Edizioni, Antichi Racconti è diventato un libro.

L’Oracolo della Foresta – Antichi Racconti di Martha Helmuth è un insieme di racconti, favole, lettere, che arrivano dal mondo degli antichi celti, attraverso gli occhi di Martha Helmuth, veggente, donna, strega. Ho creato un oracolo, utilizzando le memorie di Martha, che potesse dare un consiglio antico a tutti coloro che aspettano un messaggio personale, per compiere una scelta che si presenti davanti a loro durante il percorso attraverso i mondi e la propria storia.

Più di cento pagine, otto carte, un poster e un video, per immergersi negli infiniti universi ed esplorare nuovi mondi. Memorie, favole, racconti, illustrazioni, vite passate, curiosità e voglia di esplorare.

Se avete voglia di leggerlo e di ritrovare anche voi un pezzettino di storia dalle vostre memorie perdute, potete trovarlo nelle migliori librerie oppure ordinarlo online :

https://www.lafeltrinelli.it/libri/l-oracolo-foresta/9788832982022

Genova, 24 novembre 2020

http://www.erga.ithttp://www.antichiracconti.comhttp://www.lasoffittadimorgana.com

Anac

[…] Camminavo lungo la via della foresta, un giorno d’inverno, quando la neve lascia spazio alle foglie giusto per il tempo di un respiro. Incuriosito da un giovane falco che cacciava proprio sopra di me, inciampai sul ramo spezzato di un vecchio faggio e, cadendo, poggiai la mano sopra un sasso rotondo, che riempiva interamente il palmo della mia mano e che mi permise di restare in equilibrio, nonostante il mio peso mi attirasse con forza verso il terreno umido e fangoso.

Ancora in bilico sulle punte dei piedi, alzai lo sguardo di fronte a me, continuando a reggermi alla curiosa roccia, che sebbene di modeste dimensioni sembrava essere un solido appiglio. Mi resi conto da quella improbabile prospetriva che un piccolo sentiero si snodava tra gli alberi, invisibile da qualsiasi altro punto di vista.

Mi rialzai in piedi, un po’ indolenzito, ma ostinatamente curioso. Dall’alto delle mie gambe, però, non vedevo più nulla. Decisi allora di coricarmi sulla neve, sfidando il freddo pungente, per osservare meglio oppure capire di avere forse involontariamente battuto la testa.

Ma rieccolo lì: proprio accanto alla pianta di erica selvatica. Come un indizio, ero sicuro fosse stato lasciato lì per me.

Iniziai a spingermi con le braccia, facendomi spazio tra la coltre bianca e la terra scura, per non perdere di vista quella via e mi addentrai nel sottobosco dove, ormai avevo capito, mi sarebbe stato comunque impossibile proseguire in posizione eretta.

Continuai in quel modo per qualche tempo, non saprei dire quanto con esattezza, ma ad un certo punto misi in dubbio la mia intuizione e pensai di tornare indietro. Proprio quando stavo cercando di ripartire in direzione opposta, un nocciola che aveva resistito al ghiaccio ed al vento decise di cadere proprio sopra alla mia testa, facendomi voltare di scatto lo sguardo. Fu così che la vidi per la prima volta: un’antica costruzione in pietra: vista dal basso poteva sembrare un muro di cinta, ma una volta raggiunta la piccola radura, capii che si trattava di un’abitazione, isolata dal gruppo delle altre, che, scoprii in seguito, si trovava qualche centinaio di metri più ad ovest, lungo le rive di del ruscello che dava vita la grande fiume. Quando mi resi conto che la luna stava iniziando a sorgere, realizzai che non avrei potuto rientrare quella notte e mi preparai a riposarmi in quel luogo dove un tempo aveva vissuto qualcuno che, ne sono certo, aveva trovato il modo di condurmi fin laggiù.

Quando il buio mi raggiunse, avevo acceso un piccolo fuoco all’interno delle mura, che sebbene avessero soltanto le stelle come soffitto, erano sorprendentemente calde ed accoglienti. Immerso in quel tepore irreale, iniziai ad assopirmi, ma il mio sguardo cadde su un sasso, simile a quello che mi aveva condotto fin lì, ma questa volta incastonato nella parete. Istintivamente lo raccolsi e quasi senza stupirmi, trovai un cilindro scolpito in legno di quercia. Lo presi in mano e scrutai i simboli ed i segni incisi sopra. Non capivo, sembrava un antico alfabeto ma non ne conoscevo il significato. In quel momento, ad un’ora insolita per la sua specie, un cervo iniziò a chiamare, dalla foresta, sempre più forte; quel suono si espandeva come musica tra i rami degli alberi e i monti ghiacciati.

L’oggetto di legno cadde dalle mie mani e rotolando fino a quello che un tempo era stato l’ingresso della casa, allentò la presa che aveva su se stesso e mi rivelò un’apertura sulla cima, scoprendo l’incavo al suo interno. Lo ripresi frettolosamente e cercai curioso qualche tesoro nascosto.

Trovai in effetti un foglio di pelle di daino, sapientemente lavorato e gelosamente custodito. Lo srotolai e lessi le parole: adesso so che ero stato chiamato laggiù perché quel messaggio potesse vivere di nuovo.

“Spirito del Grande Nord io ti ringrazio. Venuto a me nella notte dei tempi, quando ancora il mio animo non bramava nulla se non uno spicchio di cielo azzurro e margherite profumate. Ti vidi la prima volta così alto e possente in cima alla cupola di un regale palazzo, decorato per la gloria di un principe decaduto, dove l’acqua ospitava pesciolini rari ed il freddo dell’inverno ghiacciava le rose al mattino. Sei sempre stato laggiù ad osservarmi dall’alto, aspettando pazientemente il mio ritorno. Ti vidi molte volte durante il mio viaggio, guidarmi tra gli alberi e le foglie donandomi conoscenze che non avevo mai appreso, ma che vivevano nei secoli dentro di me. Giorno dopo giorno, camminando nella foresta, ho ritrovato indizi, sassolini sulla strada. Dalla roccia più alta ho saltato; non saprei cavalcare altro se non il tuo splendido mantello, reggendomi al galoppo abbracciata alla tua possente figura. Ho scelto di non dormire più, ho visto ciò che ad altri non è concesso. Seguo le tue impronte che riscaldano i passi sulla neve fresca delle Valli del Nord. Al villaggio tutti raccontano di te, ma io ti vidi quel giorno e nessuno se ne accorse. Non resterai nei racconti, vivrai nelle pagine di pergamena che lascerò alla capanna questa notte di solstizio d’inverno del 1604 e tutti sapranno dove cercarti, anche se solo alcuni ti riconosceranno. l’Ultima Luna ti cercai e non vidi nulla se non la stella del mattino. Adesso so che eri là.” […]

Dal diario di mio fratello Anac, ritrovato dentro la sacca di cuoio accanto ai suoi stivali, la dodicesima notte dopo il solstizio d’inverno del 1821, Antica Valle del Nord.

Aleth

Raggiungeva i corsi d´acqua semplicemente sentendo l´odore del vento e correva a piedi nudi lungo la valle dei cervi senza pungersi la pianta dei piedi. Colorava   l´olio con il tocco delle dita e contava le note del canniccio lungo il fiume, decifrandone la melodia nella mente, ascoltando il suono dell´antica via che guidava ogni molecola del mondo. Viveva libera, accovacciata ai piedi della nuda roccia, sotto cieli stellati e lacrime di pioggia, dove la terra le donava i suoi frutti al solo tocco della mano.

Cosí la ricordavano gli anziani, dolce e gentile, dagli occhi di fata e dalla pelle limpida come l´aria d´estate al primo sole del mattino. Non era bella come le dame di corte, non aveva splendidi abiti, né ninnoli, né alcun ciondolo ad adornare la sua figura: portava foglie di ortica e semi di girasole appesi alla tunica, che talvolta rotolavano dispettosi verso nuove mete, lasciando al suo passaggio come una traccia, quasi fosse un sentiero da seguire per coloro che avevano perso la strada. Come un ricordo, una voce nell´anima, veniva raccontata.

Mia nonna, dicevano, era cosí.

Una notte all´ultimo passaggio prima del solstizio    d´inverno, la rividi. L´ultima volta che avevo incrociato il suo sguardo, la mia anima era ancora antica ma i miei piedi avevano iniziato da poco a passeggiare uno dietro l´altro. Non avevo nella mia mente quell´immagine che ognuno decantava con le parole, non sapevo con esattezza cosa facesse, né dove avesse realmente vissuto. I miei ricordi erano il profumo del latte con il miele e buccia di mela a forma di insetto con la quale giocavo nei lunghi pomeriggi d´autunno.

Non la riconobbi subito, ai miei occhi non era lei. Seguirono un nodo di fumo grigio, una porta socchiusa ed il suono di gocce d´acqua, come quelle che scivolavano sulle rocce lungo il fiume quando correvo a bere in estate, e dove con la scusa della calura, mi fermavo a cacciare le rane e le formiche d´acqua che si nascondevano al mio passaggio.

Il suo sguardo era tenero e duro allo stesso tempo, non aprí bocca ed osservó per qualche istante i miei lineamenti, che, mi disse, le ricordavano quelli di sua sorella, cacciata dal villaggio la notte di mezza estate a causa del ritorno dei lupi alla foresta. Gli abitanti non capivano – mi disse – come tali creature potessero scegliere a chi avvicinarsi e con chi essere innocui, mentre di natura sono esseri feroci ed impavidi.

Mi domandó se la conoscessi, ma risposi di no, troppe lune erano trascorse da quel giorno e nessuno mi aveva mai parlato di quella fanciulla, né del fatto che la dama dei boschi, cosí chiamavano mia nonna, avesse un corpo gemello.

Il suo sguardo si fece piú intenso, l´odore     dell´incenso divenne prepotente e la mia candela decise di affievolire la sua luce. Ricorderai, allora, non temere bambina – disse spezzando il silenzio.

Indicó uno spazio vuoto dietro di me, dove custodivo la lavanda essiccata ed erbe per le mie tisane. Osservando meglio, vidi in lontananza un fiume, dove i miei avi avevano raccolto il grano che serví a sfamare i primi membri della nostra famiglia, quando ancora il regno era diviso in popoli e nessuno cercava di sovrastare gli altri con inutili arroganze e fasulle aspirazioni di superiortitá. Laggiú,     sull´argine destro, una bambina dai capelli rossi correva all´impazzata, cerecando di raggiungere un´altra se stessa, solo dai capelli corvini. Non riuscivo ad udire alcun suono, ma le immagini diventavano sempre piú chiare, limpide, quasi come ritornassero da me.

Non capisco – dissi.

Avevamo curato la figlia del pastore, una notte di luna, con elicriso e stoffa di seta e cotone, legate insieme con radici di asfodelo – continuó – la piccola non aveva alcuna voglia di restare, ma la richiamammo indietro. La madre pianse per quattro notti, poi il vento cambió ed i lupi ritornarono. La bambina divenne forte e nel giro di qualche giorno crebbe anche di statura. Io avevo creato il medicamento, tu lo portasti al pastore. Per questo fosti cacciata e la tua casa data alle fiamme.

Un accecante bagliore apparve davanti ai miei occhi, che istintivamente si richiusero ma i miei sensi mi gettarono addosso la pesantezza del fumo che penetró fin dentro la mia anima.

Aleth, sono qui e sono sempre stata qui, accanto a te – disse mia nonna – pronunciando il mio antico nome. Lo so – risposi – e torneró presto accanto al camino, dove ogni notte mi attendi, ogni anno, ogni mezza estate.

La finestra sbatté violentemente, un temporale era in arrivo. La mia candela illuminava la stanza come la luna d´agosto e la porta era di nuovo chiusa.

Come dissi, non ricordo molto di mia nonna.

nonna

Lei

morgan

Correva veloce lungo la via della notte, inciampando tra i rami e le radici delle piante piegate dal vento e dagli anni. Le ferite ed i lividi bruciavano le suole, il sudore velava la fronte, il calore del corpo lasciava spazio al ghiaccio della notte, le dita scorrevano veloci lungo il palmo della mano, quasi a voler oltrepassare la carne ed arrivare a sentire l´energia del sangue caldo, che scorreva veloce nelle vene. Gli antichi tronchi donavano protezione e sostegno, ma la strada era lunga, dissestata, asciutta e scivolosa allo stesso tempo. Nessuna possibilitá di ritornare, alcuna conoscenza delle distanze, meta sconosciuta.

Aveva visto quegli uomini altre volte, il volto ombroso, il cappello calato sugli occhi piccoli e socchiusi, i segni del tempo e dei pensieri marchiati sulla pelle spessa e scura. Loro la volevano: braccata per secoli, persa piú volte in mare, ritrovata oltre i ghiacci del monte ad Est della pianura, fuggita ancora tra le acque del lago, due volte.

Soltanto in un´occasione riuscirono a rinchiuderla, per il tempo di due Lune, incatenata ad una roccia fredda ed antica all´interno delle grotte magiche della Foresta Nera. Quando ritrovarono il falco che stringeva nel becco una ciocca dei suoi capelli, restarono immobili per qualche secondo, osservando le gocce d´acqua diventare vapore attorno alla pietra, illuminata da un raggio di luce che filtrava dall´alto, liberato dalla morsa della montagna dove nemmeno l´aria spesso riusciva ad arrivare.

Fu l´ultima volta che la videro.

Molte Ere si susseguirono, una dietro l´altra, in una frenetica rincorsa che lasciava dietro di sé il sapore del sudore, del sangue, di candele bruciate e catene spezzate. Eppure soltanto Lei ricordava. I volti di quegli uomini ritornavano, improvvisamente: attraverso gli occhi di un bambino, di un vecchio, di una madre, di giovani uomini. Riaffioravano con audacia e prepotenza, senza preavviso, in estate o in pieno inverno. E la corsa ricominciava. Daccapo. Frenetica e costante, verso una meta sconosciuta e banale al contempo.

Ricercata e desiderata. Interrogata e supplicata. Ammirata e condannata. Eternamente alla ricerca della via nella foresta, cantando al piccolo popolo e fuggendo dai suoi cacciatori.

Attraverso le felci trovó finalmente una tana di tasso e chiese il permesso di entrare. Le furono offerte ghiande fresche, formiche d´acqua e bacche dolci per colazione. Infine gli inseguitori mollarono la presa, la terza notte dopo la luna di Marzo.

Lei tornó a casa, sopravvissuta e stanca. Bació la Luna, si pettinó i capelli, bevve latte di capra e dormí per dodici notti sopra un letto di foglie d´edera.

In attesa del suo bambino.

 

Un racconto inedito

Se avete voglia di viaggiare, di scoprire, di ammirare o semplicemente di ricordare:

A pagina 35, scoprirete anche una storia speciale, scelta con cura tra i miei Antichi Racconti, per tutti coloro che amano passeggiare tra i mondi.

Happy Samhain !

Onde

L’oceano sussurra ricordi impressi nel profondo delle acque, custoditi dagli spiriti delle correnti che talvolta giocano con le anime dei viaggiatori invertendo il senso delle cose. Ma gli esperti uomini di mare sanno attendere il momento in cui il cielo, condividendo il suo pianto con le onde, accarezza antiche memorie rivelandone la luminosa dolcezza.

Passi

Percorrendo sentieri nascosti tra rami spezzati e foglie cadute, dopo la pioggia, il rumore dei passi diventa facilmente riconoscibile dalle creature del bosco, che fuggono spaventate ed un po’ indispettite dall’intrusione inaspettata. Il fiato si accorcia e le gambe tremano, ma i piedi scalzi assaporano ciò che normalmente viene loro precluso. Il sole fa capolino tra le fronde, accompagnato da un soffio di vento, a tratti gelido, che riempie il petto di briciole di nuvola. Correre soli, l’odore pungente dell’alba mescolato alla dolcezza del colore dei fiori che si rivela alla brezza del mattino. 

Conoscere il linguaggio della foresta ed attendere, seduti accanto alle rocce che vedono ogni cosa, uno sguardo silenzioso che passeggia vicino, compagno di molte avventure. Spiriti affini e complementari, silenziosi ed antichi, che ci accompagnano lungo il viaggio, verso luoghi che solo noi conosciamo.

Cenere

E fu allora che mi voltai: notai le ceneri di ciò che un tempo era custodito con cura tra le pieghe della memoria, sollevarsi in volo e fuggire, attraverso lo spiraglio lasciato aperto dalla serratura della mia rinnovata capacità di giudizio. Ciò che rimase fu un lungo, inestimabile, meraviglioso, assoluto silenzio. 

Ed infine, le orecchie udirono nuovamente il delicato rumore dell’acqua scorrere accanto a me.

Ali

Ci sono sentieri che a volte sembrano oscuri ed in salita, mentre tutto svolta verso una sconosciuta meta che nessuno racconta, verso luoghi dove qualcuno è passato ma mai tornato. Al di là del bosco di rovere, oltre la coltre della nebbia del mattino, prima che il sole scaldi le foglie e dove la rugiada ancora indugia sopra il muschio fresco, mi riposerò. 

In attesa che il vento dell’est mi trascini via lontano, ad ascoltare antiche musiche sotto cieli stellati mai esplorati da occhi umani. 

Note

Ci fu un tempo in cui gli esseri umani non conoscevano rabbia, vergogna, amore, odio, paura. Essi vivevano una condizione di eterna calma e quiete profumata, interrotta soltanto dalla sensazione di freschezza donata dalle acque ghiacciate, che sgorgavano dalle rocce, in alcuni luoghi della terra. Ognuno abitava il luogo che reputava migliore per sé e nessuno provava invidia per ciò che altri avevano a disposizione. Ogni cosa era semplice e lineare ed il sole e la luna si davano il cambio, danzando, secondo un’infinita serie di passi, delicati e gentili.

Gli oceani erano separati e le foreste ancora non dominavano il pianeta, quando accadde, un giorno, che uno degli abitanti inciampò, colpendo le radici di un’antica pianta, mentre correva inseguendo un fauno che lo aveva invitato a giocare. Egli si ferì e diede alla luce una nuova creatura. Non era mai accaduto prima, né a lui né ad altri: era la prima volta che qualcuno vedeva il sangue umano.

Caldo, rosso, intenso, dolce.

Accorsero dai più remoti luoghi del pianeta, per osservare da vicino quello strano essere, che cambiava forma, colore e sostanza a seconda delle interazioni con il mondo esterno. E che probabilmente ognuno possedeva dentro di sé ma che nessuno aveva il coraggio di toccare con mano. Era sconosciuto, volubile, forte e potente, provocava sensazioni mai sentite prima, la più intensa delle quali veniva descritta come un’emozione potente e non piacevole, come quella che si percepisce visitando il profondo della terra quando essa si muove sotto ai piedi, per assestare la sua forma e dimostrare la sua presenza.

Fu così che il dolore fu provato per la prima volta.

Ci fu chi lo additò come la causa di ogni cambiamento, come la rappresentazione della volontà di qualcuno che non poteva comunicare con le parole, come un messaggio sconosciuto verso nuovi orizzonti, come un avvertimento.

Quello che accadde fu che esso portò con sé paura, tristezza, rabbia.

Ma anche amore, pazienza, dolcezza.

Le pareti della terra tremarono sotto l’effetto dei suoi nuovi ospiti ed il velo di calma e profumo crollò, sotto il peso dei colori e delle luci del mondo.

Notti buie furono seguite da meravigliose albe e tramonti accesi fecero nascere lacrime di felicità. Le emozioni travolsero l’essenza delle cose. In un attimo tutto divenne oscuro alla mente e luminoso al tatto.

Queste emozioni regalarono ad ognuno la propria visione del mondo e da quel giorno, nessuna creatura fu più uguale a tutte le altre: il pianeta donò a ciascuno la possibilità di vedere sé stessi ed ogni elemento, con i propri occhi.

Seppure qualche racconto resti ancora custodito tra le pagine degli antichi libri, nessuno chiese mai di poter tornare indietro; l’insieme di tutte le sensazioni che giunsero agli umani quel giorno, tutte quante, fecero della terra un luogo insostituibile e meraviglioso per ogni creatura, fosse essa oscura o di luce.

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